L’affabulazione pittorica di Beppe Francesconi
CARMEN DE STASIO
C’è una dimensione entro la quale l’artista si muove e alla quale egli stesso dà forma perché il suo percorso strategico possa essere intelligibile. Sovente il luogo è la tela in quanto argomentazione dinamica che percepisce l’esterno e ne trattiene l’alito per costruire infine una storia.
E’ quanto affrontato da Beppe Francesconi, il quale si muove sul territorio dell’affabulazione pittorica nel quale ricrea atmosfere allusive e metafore giocose che tessono un dialogo mediante proiezioni di sculture narrative che sconfinano oltre un quadro descrittivo per accedere ad una figurazione che media tra il reale, l’onirico e l’immaginativo in una strutturazione composta da ponderate configurazioni in prospettiva. Ciascuna delle tele é un tassello metonimico in stretto congiungimento con il precedente e il successivo e narra in forma epagogica l’esternazione di cromatiche allusioni, che assorbono il reale e lo fondono senza mai confonderlo.
Nascosto all’interno dell’ambiente in cui vivono i personaggi delle piccole storie esiste un progetto, che sovverte un ordine storico pur essendo esso stesso integrazione storica che si intreccia con i contrastivi elementi emergenti nella continua opposizione coloristica che, tuttavia, non concede spazio a sovrastrutture che possano creare una trama di obliquità e di inquietudine di facile percorribilità. Al contrario, le sue tele non presentano nulla di assoluto, di rigido o spigoloso; la rotondità delle forme é essa stessa motivo di dinamismo, di continuità, là dove l’immaginario si congiunge con scene che si animano nella mente, divenendo apologetica affermazione di una complessa integrazione a più livelli di elementi, all’insieme dei quali l’artista offre un titolo alla stregua del viaggiatore che tenta di interpretare il linguaggio criptico di una mappa del tesoro.
Si potrebbe addirittura azzardare una concettualizzazione sociologico-formativa che incita alla conservazione della dimensione intellettuale pur avvalendosi della proiezione onirica come strategia per rendere la leggerezza dell’intenzione.
La commistione tra il fumetto e la settima arte (il cinema e successivamente la televisione) viene potenziata ulteriormente e saggiamente con il gusto del fiabesco che trasla straordinariamente l’arte in attualità, sulla scena della quale agiscono da primi attori il movimento=meditazione e il colore=integrazione in una sospensione efficacemente fluida di suggestiva reciprocità. In fondo è questo il punto di totalizzante affermazione dei cartoons o degli albumini ripescati dalla memoria dell’infanzia: mondi sempre nuovi da scoprire e su cui muoversi in libertà come un antico e mai dimenticato gioco di gruppo, al quale appigliarsi per non perdere la rotta.
Non esiste una cronologia fissativa entro la quale l’artista ascrive la sua figurazione immaginativa, giacché ogni quadretto si propone come una condensazione di storie riconducibili ad un tempo contingente; si auto-raccontano come epifenomeno che nulla toglie alla continuità; sono sintesi significativa della circolarità in un universo coniato con le parole amicizia, sostegno, amore, in un riprovare costantemente senza rabbia. Senza devastante avvilimento.
La fumettata rappresentazione si avvale di un’immagine che affonda nel presente dello sguardo che evolve, si sposta costantemente dalla tela alla mente, divenendo epagoge, sinonimo di invito all’interpretazione dei segni. Il che induce a pensare ad una personalizzazione dei tempi, all’abilità di collegare le esperienze con le azioni temporali che influenzano lo spazio e viceversa, in cui l’individuo è sì immerso ma non sommerso dalla dimensione cronologica dell’esistenza.
Questo l’invito che l’artista dal tratto gentile sembra affidare all’osservatore: alle circostanze dare il tempo di assimilazione e lasciare che i tempi intimi addolciti dalla meditazione possano sciogliere nodosità.
Ritengo che l’immediata freschezza che emana dalle sue creazioni sia una prospettiva culturale che nulla ha a che dividere con lo zuccheroso mondo di una fiaba sentimentale da happy end, né da occhi bistrati dalle luci psichedeliche di linguaggi artificiali. Non è la fiacca pacificazione dello sguardo, ma una dimensione che supera la realtà pur se da essa trae l’inizio del viaggio. Si tratta di una prospettiva artistica, la cui esuberante intensità, la cui pastosa intonazione privilegia la qualità, che è tradizione e stile, libertà e competenza argomentativa.
“La Giocosa Serietà del Mondo Fantastico di Beppe Francesconi”
[…] Gli alberi e gli animali, i protagonisti principali, insieme a cieli trapunti di stelle, dei dipinti dell’artista toscano ci trasportano immediatamente nei territori della fantasia, con un rovesciamento del principio di realtà che non sarebbe dispiaciuto a Lewis Carrol e alla sua piccola Alice: quadrupedi cui siamo soliti attribuire la massiccia pesantezza, se non adirittura goffaggine, dovuta alla loro mole, come ad esempio i prediletti elefanti, danzano nell’aria con fare divertito e sognante, sovente accompagnati da alberi frondosi le cui radici, invece che abbarbiccarsi nel terreno, si posano appena, con sinuosi ritmi curvilinei, su sottili tappeti erbosi, dai quali talvota gli alberi stessi osano alzarsi in volo grazie alla spinta di così peculiari radici.
La fascinazione del volo è certamente la corda che vibra con maggiore intensità nell’ispirazione di questo artista-poeta che, sovente, arricchisce i territori della sua immaginazione con una non comune capacità mitopoietica:
ed è così che i suoi elefanti si arrichiscono talvolta di ali, con cui risultano ancora più aerei e immateriali, è per questo che appaiono di tanto in tanto ippogrifi o unicorni che sanno di memoria antica, o, ancora, non c’è troppo da stupirsi se, in un delizioso dipinto recente, Il Gatto Leo era una Gatta, riecheggia addirittura il mito classico diAtena nata dalla testa di Zeus, con quel micio sornione che sembra far uscire un elefantino dalla sua zucca ed un tronco d’albero dalla sua groppa.
Un sorriso di un fanciullo sembra accompagnare questi racconti per immagini, con i loro colori ad olio mirabilmente accordati tra loro, ma tale dimensione, vicina all’infanzia, non esaurisce certo tutte le implicazioni care all’artista: infatti, se Francesconi dà pascolianamente voce al fanciullo che ha dentro di sé – i modi peraltro meno estenuanti e certamente più lievi del tormentato quanto inarrivabile poeta romagnolo – ciò avviene entro una sorta di contrappeso emotivo, secondo una poetica che, come già si acennava, non coniuga affatto l’apparente leggerezza di trato con l’assenza di una profondità di ispirazione pienamente vissuta. […]”
Emidio De Albentiis
Beppe
Francesconi
… il mondo che non c’è
Il mondo di Beppe Francesconi è qualcosa di complesso, di vasto, di esteso, pieno di significati e di significazioni aggrovigliati in trame composite ed intriganti. Forse una necessità di ricondurre la vita in un ambito purificato dalle comuni indigenze e dai menzogneri convincimenti di una realtà spesso cupa e priva di sentimenti;o un gioco di emozioni forti, piacevoli, illusorie e gaie, per raccontare quelle storie che tutti amiamo ascoltare e nelle quali ci ritroviamo più spesso di quanto non immaginiamo. Sicuramente tre sono gli elementi che irrompono nelle sue opere con forza espressiva: la fantasia, il sogno e forse una buona e salubre dose di follia, amalgamati in una mistura coloristica intensa che esprime, attraverso tratti pittorici raffinatissimi, un universo nuovo, casto, illibato, sicuramente inaspettato e provvidenziale, in cui tutte le regole dello spazio e del tempo sembrano stravolte a favore di una rinnovata cosmogonia pregna di briosa esistenza e di esuberante fascino vitale. Un mondo in cui tutte le leggi fisiche vengono distrutte nel grande palcoscenico della finzione, non solo in senso provocatorio e ribelle, ma anche dolce, benevolo, disponibile e tollerante, dove eleganti elefantini – ma non solo – si librano nell’aria come leggere farfalle annullando la propria massa a favore di una prorompente energia vitale. E’ evidente una complicazione prospettica che attinge a piene mani dal mondo delle fiabe, dagli scenari illusori e fantastici dei racconti dell’infanzia, in cui gli amici animali si agitano gioiosamente senza regole apparenti, senza tentennamenti, senza preconcetti, ricalcando il leitmotiv del Gatto con gli stivali,di Pollicino o delle casette di marzapane di Hänsel e Gretel. C’è una sorta di carosello immaginifico in cui non sono estranei gli elementi onirici, quelli del sogno, quelli che affollano le nostre notti buie e tormentate, o quelli semplicemente divertiti e colorati dal piacere che ruota incessantemente sotto la spinta provvidenziale di una “follia buona” in grado di ridisegnare continuamente convincimenti e verità. La quintessenza del sapore delle “cose” che Francesconi usa per animare un gioco dalle infinite sfaccettature esistenziali, mediandola con garbo attraverso una sapienza pittorica e una raffinata capacità di argomentare quel mondo irreale, dove forse l’unico vero atto intercettato è quello della vita che si mostra in tutta la sua stuzzicante freschezza. Un’essenza energetica che trasuda dal divertente gioco della “compagnia”. Dalle giraffe dal collo lungo e lungimirante, dagli elefantini volanti con le ali, dai cavallini saltellanti, dai gatti sulla luna, e dalle gallinelle in amore. Ma anche dalle fragili barchette di carta che solcano l’etere come immerse in un avvolgente liquido amniotico e dagli alberi animati ricchi di frutti colorati evocatori di vita e di vitalità. E soprattutto dai delicatissimi palloncini rammendati che vibrando in traiettorie curve, sinuose e serpeggianti, sfidano le più rigide leggi della dinamica per animare una gioiosa e febbricitante fecondità. Infine i cieli ornati di stelle fiorite – forse scenari dell’anima – dai colori intensi, decisi, come le docili sfumature dell’arancio, del marrone, del celeste, del viola, dell’azzurro e del blu. Un dolce inganno, il mondo pittorico di Beppe Francesconi, una voluta falsità, una docile finzione architettata ad arte per far si che dal poeta non trasudi verità – come ricorda Fernando Pessoa. Verità che è dentro di lui e che troppo spesso è intrisa di profondo dolore.
Guido Buffoni
Perugia, dicembre 2011
Le strade del sogno – testo critico di Riccardo Ferrucci
L’arte di Beppe Francesconi si caratterizza per una notevole accentuazione dei motivi fantastici, una visione che rispecchia i territori del sogno, con una creatività fuori dagli schemi ordinari. La sua pittura trova nei colori azzurri e rossi, solari, i temi più congeniali, alternati a dei suggestivi notturni, dove un cielo pieno di stelle diventa fondale ideale per magiche apparizioni e misteriose evocazioni … La giocosa serietà del mondo fantastico di Beppe Francesconi
testo critico di Emidio De Albentiis
L’uomo ha sempre invidiato agli uccelli il dominio del cielo, la possibilità di librarsi nell’atmosfera e di colmare distanze potenzialmente illimitate, sorvolando gli oceani o le vette vertiginose delle montagne. Certo, da un secolo a questa parte, il grande sogno dell’umanità di riuscire a volare – quel sogno a cui Leonardo consacrò l’ispirazione più emozionata e palpitante del suo ingegno versatile …